domenica 29 luglio 2012

Ogni sintomo è un sintomo?

Quando si impara a prendere sagge precauzioni per prevenire crisi di DB, tutto diventa un sintomo di DB.

Va bene che sia così, all'inizio, ma questo mi faceva imbestialire non poco, a livello ideale.

Perché una persona "sana" può arrabbiarsi e urlare e va bene, è solo arrabbiata o nervosa, e se lo facevo io diventava un sintomo da tenere in considerazione, un attacco di nervosismo che poteva fare pensare ad una crisi manicale?

Ed è solo un esempio...per un po' di anni, tutto è stato sintomo: dormire tanto, dormire poco, non dormire, mangiare poco, mangiare tanto, parlare tanto, parlare poco, nervosismo, sconforto, tristezza....non più accadimenti normali, ma sintomi.

Questa abitudine, nonostante faccia arrabbiare, all'inizio è salvifica. Meglio preoccuparsi per poco che non preoccuparsi per tanto.
Almeno, sempre che non vi piacciano alla follia le crisi, i farmaci in alte dosi, gli ospedali.

Io ne faccio volentieri a meno.

Dopo un po', questo passa. Si è sempre cauti ma, più aumentano gli anni di eutimia, più noi e gli altri capiamo che anche noi possiamo essere "quasi normali", ed essere, come tutti, nervosi, stanchi, arrabbiati, impauriti, sconfortati.

Avrei scelto un altra vita se me l'avessero chiesto? CERTO, assolutamente.

Ma è arrivato questo, e quindi vale la pena di fare il massimo possibile con quanto ci è stato dato.

mercoledì 25 luglio 2012

Cose belle e cose brutte del DB

Ho pensato svariati giorni a questo post.
Qualche giorno fa ho scritto una bella paginetta, intitolata: la cosa più brutta.


Avevo in mente una specie di classifica, che avrebbe potuto essere un sondaggio, su quante siano le cose brutte che possono succedere se si soffre di DB: TSO, ricoveri, molestie sessuali, spese folli che rovinano le finanze, famiglie sfasciate, amici che scompaiono, capi che dequalificano o licenziano, incidenti, tentativi di suicidio, etc.


Poi ho cancellato tutto, perché mi sono chiesta: a cosa serve continuare a mescolare nel fango?
A cosa serve ricordare a tutti che nel DB possono accadere cose brutte, atroci, orribili??


(Un amico mi dice sempre: la merda, più la rigiri più puzza. Non sarà chic come proverbio, ma rende l'idea) ;-)


Chi ne soffre lo sa. E chi non ne soffre, può solo vedere un quadro, una sorta di urlo di Munch, ma non potrà mai capire davvero.

E poi, domanda successiva: che scopo ha questo blog?


Io spero che dia SPERANZA. Spero che sia una piccola vetrina che faccia capire che E' POSSIBILE STARE BENE, ESSERE SERENI, anche soffrendo di DB.


E quindi mi sono chiesta: quali sono state le COSE BELLE del DB?


Perché, innegabile, c'è sempre l'altro lato della medaglia.


Per un amico che lascia, ce n'è un altro che resta, che non molla, che ci fa capire con la presenza e l'affetto che ci vuole bene.

Per un lavoro nel quale non siamo più apprezzati, ce n'è un altro dove possiamo esprimere noi stessi e trovare la nostra dimensione.



Ma, se dovessi proprio dire LA cosa più bella, per la quale io RINGRAZIO il disturbo bipolare, è questa: mi ha fatto capire che non potevo più continuare su certe strade (soprattutto sentimentali).
Mi ha fatto capire che io "dovevo", dovevo per forza, seguire una strada fatta di vero amore, rispetto, non sofferenza.
Mi ha dato la spinta giusta per affrontare una lunga psicoterapia (a settembre saranno 9 anni...) e ricostruire totalmente me stessa.


Una me stessa che, rispetto a dieci o a vent'anni fa, ha una vita senz'altro più piena, più armonica, più serena.


Avrei fatto lo stesso senza la spinta forte del DB? La storia non si fa con i se, lo sappiamo, una sliding door non presa è impossibile da immaginare.


Ma io non credo. 


E quindi questa è stata la cosa più bella in assoluto: che io oggi, anche grazie al DB, a me stessa, e a coloro che mi sono stati vicini, sono una persona nuova.

mercoledì 18 luglio 2012

Disturbo bipolare: esperienze diverse su diagnosi e psicoterapia

Premessa: leggo "la Repubblica". Il sabato apprezzo l'inserto D, un settimanale che mi piace molto, soprattutto per alcuni editorialisti.


Sabato scorso, Elasti ha narrato l'esperienza di una giovane donna che soffre di disturbo bipolare.


Ora, io sono sempre contenta quando si parla di disturbo bipolare, e sempre in empatica affinità quando leggo le storie di altri.


Tanti particolari però per me non erano esatti, in quell'articolo....o meglio: sono esatti secondo l'esperienza della protagonista. La mia è diversa.


In particolare, vorrei segnalare che:

1) non credo sia attualmente vero che il disturbo bipolare in Italia è poco conosciuto e mal diagnosticato. Certo, possono sempre esistere medici poco esperti, quasi casi di "malasanità".
Ma esistono realtà dove il disturbo bipolare è perfettamente conosciuto e ottimamente diagnosticato e seguito farmacologicamente.
Credo esista una particolare cautela nel fare questa diagnosi, perché equivale a diagnosticare un disturbo, o meglio, una "predisposizione cronica" che, allo stato attuale della scienza medica, impone di seguire una terapia farmacologica per tutta la vita.
Molto più semplice è una depressione unipolare, o perfino un disturbo borderline (anche se credo sia molto meno "maneggiabile", quindi trattabile).
Nel caso della depressione unipolare, spesso si tratta di una crisi singola, si cura quella, si scalano i farmaci, arrivederci e buona fortuna.
Nel disturbo bipolare questo veniva fatto venti, trent'anni fa: si curavano le singole crisi, e poi i farmaci venivano smessi.
Ma si è appurato che, così facendo, le crisi ritornavano, spesso più forti, più violente, talvolta anche più frequenti nel tempo. Continuando la cura, invece, le crisi si distanziavano nel tempo, e chi ne soffriva sperimentava periodi di "normalità" più lunghi.

2) Non credo sia vero che la psicoterapia non serva a nulla e che servano solo i farmaci.
Io sono assolutamente a favore dell'abbinata farmaci + psicoterapia.
E qui parlo di me: io ero bipolare nell'anima, diciamo nelle mie reazioni emotive. Anche se culturalmente ero disposta ad ammettere varie tonalità di colori, tutto lo spettro dell'arcobaleno, emotivamente la mia vita era davvero bipolare: o bianco o nero.
In più, nel mio caso il disturbo bipolare aveva origine anche da repressioni, da traumi.
La psicoterapia mi è servita, eccome se mi è servita, per andare a sistemare tutto questo!
Certo, senza i farmaci stabilizzatori non avrei avuto quella costanza di umore e capacità mentale che hanno resto possibile la psicoterapia.
Ma senza la psicoterapia non sarei andata a cambiare le cause emotive, mentali, esistenziali del disturbo.
Mente e corpo non sono separati: se il corpo può agire sulla mente (es.: dopamina alle stelle = crisi maniacale, con tutte le conseguenze mentali e comportamentali del caso), allora le mente deve poter agire sul corpo (un diverso pensiero, una diversa emozione può aiutare la stabilità dei neurotrasmettitori).
Per di più, le ultime ricerche della psicoterapia affermano che attui veri cambiamenti a livello sinaptico.
Quindi, w l'abbinata!


Sulle altri parti dell'articolo concordo: è vero che spesso gli amici non accettano, è vero che spesso i fidanzati lasciano, è vero che in Italia c'è ancora una forte condanna della malattia mentale.

De André anni fa cantava "Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti".
Siamo tutti coinvolti e tutti colpevoli.
Finché continueremo nel silenzio e nella vergogna (io in prima fila, of course), saremo tutti coinvolti nel perpetrare lo stigma della malattia mentale.

venerdì 13 luglio 2012

Cane bastonato

Ho avuto questa consapevolezza qualche giorno fa....


Le delusioni, i dolori, i traumi...evidentemente sono stati molto più forti e dolorosi di quanto avessi creduto.
Tutti lavoriamo di rimozione, è una difesa, spesso il dolore è troppo forte da sopportare.
Il risultato è che talvolta crediamo di esserci lasciati dietro alle spalle dolori che invece sono solo stati rimossi, sotterrati, in attesa di comparire di nuovo.


E cosa fa un cane bastonato? Alla fine ringhia anche a chi vuole fargli una carezza.

Non è facile, non è semplice vedersi così, sapere e sentire di essere così.


Da ragazzina credevo che "il mondo" non mi avrebbe cambiato.


Da adulta ho cambiato idea. Il mondo ci cambia, sempre. Ed è un buon segno di "stare nella realtà" farsi cambiare dal mondo e nel contempo cambiare le proprie idee sul mondo, renderle meno ideali, meno immaginarie, più aderenti alla realtà.



Certo, a livello ideale questo non mi piace per nulla.


Perché, alla fine, il risultato è che siamo tutti meno idealisti, meno altruistici, più cinici.
Meno disposti a farci fregare, a soffrire di nuovo.


Too much is too much, dicono gli americani.

Il punto è sapere qual è il proprio "troppo", è sapere dire BASTA, è sapere qual è il limite della propria sofferenza.


E non permettere a nessuno, né a noi stessi né agli altri, di valicarlo.

lunedì 9 luglio 2012

Non è per nulla facile

Soffrire di disturbo bipolare.


Avere figli che soffrono di disturbo bipolare.


Avere un marito o una moglie che soffrono di disturbo bipolare.


Avere amici che soffrono di disturbo bipolare, o un fratello, o una sorella.


No, non è per nulla facile.


Da protagonista dico: la croce più grande è la nostra. Noi soffriamo in prima persona, noi siamo costretti ai farmaci, a lunghe psicoterapie, a lunghe ricostruzioni di noi stessi, a una vigilanza costante sul nostro umore.


Poi....diciamo che quando cerco di mettermi nei panni dei miei familiari so che la loro croce forse, e dico forse, è altrettanto grande della mia. Diversa, certo, ma non per questo meno dolorosa.

Almeno, la penso così, è un pensiero, una percezione, un rendersi conto di come le vite di coloro che ci circondano siano, in ogni caso, toccate dal disturbo bipolare.

La continua preoccupazione che io stia bene. Il continuo timore che io possa stare male di nuovo. L'incubo, già vissuto e mai abbastanza allontanato, di ricevere una telefonata da un ospedale o da un amico "sua figlia è stata ricoverata".

Io credo di aver seguito una certa morale anche nella malattia. Di aver cercato di non pesare troppo sulla mia famiglia, di aver cercato di curarmi nel migliore dei modi.


Questo lo ritengo quasi un obbligo morale, perché come possiamo fare delle nostre vite, volontariamente o meno, elle croci per qualcun altro che ci vuole bene? Come possiamo trasformare l'affetto in un inferno?


La vita è già così piena di stress, di dolori, di battaglie di per suo, senza mettere anche l'immoralità di non curarsi.

Perché il non curarsi non è mai una scelta di cui solo noi paghiamo le conseguenze, a meno che scegliamo la strada dell'eremita che vive sulla montagna, lontano da tutto e da tutti.

Se viviamo in un contesto sociale (famiglia, lavoro, società), la nostra scelta influisce, nel bene e nel male, sulle vite di coloro che ci circondano. Come le loro scelte hanno influenza su di noi.

La scelta di starci vicino o di allontanarsi.

Io capisco chi si allontana. Non è mica facile star vicino a un malato mentale. Servono dei superpoteri, e mica tutti li hanno.

E diciamo che posso capire anche chi sceglie di non curarsi, ci sono passata, ma la domanda è: vi rendete conto di quanto la vostra scelta non ricada solo su di voi?

Vi rendete conto che state coscientemente rovinando le vostre vite e quelle di chi vi sta vicino??

giovedì 5 luglio 2012

Danza e arte, libertà...

Chi si ritrova ad affrontare disagi mentali sa che, alla fine, quello che tutti ricerchiamo è il modo di essere liberi, di essere noi stessi nonostante tutto quello che ci sta remando contro...

Nonostante tutte le imposizioni della famiglia, anzitutto (regole, divieti, imposizioni, aspettative, segreti, non detti, etc.)


Nonostante tutte le imposizioni della società (e di nuovo regole, divieti, si dice, si fa, bisogna, occorre, è necessario...)


Nonostante tutte le imposizioni di schemi millenari (le donne devono fare questo, gli uomini quest'altro, e via!)


Nonostante i farmaci che, soprattutto all'inizio, sembrano costringerci in una prigione ancora più dura, una prigione fatta di intontimento, risvegli difficili, emozioni sotterrate, difficoltà a piangere, a ridere, a gioire....

E noi? Noi dove siamo, dove siamo finiti, dove è la nostra vita, il nostro essere, la nostra capacità di gioire e di soffrire, il nostro coraggio di esprimere noi stessi??


Una antica leggenda dice che Dio, volendo nascondere la verità, non sapeva bene dove nasconderla, perché qualsiasi posto gli venisse in mente (la cima di una montagna, il fondo del mare, il folto di una foresta) prima o poi sarebbe stato scoperto da qualche uomo curioso. Così, pensò di nasconderla nell'ultimo posto che agli uomini sarebbe venuto in mente: dentro loro stessi.


Ecco, la nostra libertà, la nostra verità, il nostro vero essere è dentro noi stessi, lo sappiamo.
E' lì che chiede di uscire, talvolta urlando, talvolta sussurrando, spesso soffrendo.
Certe volte si fa talmente silenzioso che quasi non lo sentiamo più.
Certe volte le grida si fanno talmente assordanti che non possiamo non urlare anche noi, fisicamente.


Credo che in questo l'arte possa aiutarci moltissimo.

Danzare, dipingere, scrivere, cantare, scolpire. Qualsiasi arte vi sia congeniale, cercate di praticarla.


Nella danza, lasciate che il vostro corpo si muova con una vibrazione che dall'interno va verso l'esterno. Danzate come se nessuno vi guardasse, o come se il mondo intero vi stesse guardando, se ne avete voglia. Lasciate finalmente al vostro essere la libertà di essere, scusate il giro di parole, nella danza.


Fate lo stesso con la pittura, con la scrittura, con il canto, con tutto quanto volete.

Ritagliatevi uno spazio dove poter essere liberi. Forse, se siete fortunati, questo spazio diventerà sempre più grande, sempre più vostro, e riuscirete a portare la vostra libertà e il vostro "canto libero" anche nelle restanti ore della giornata....